Sorelle

Sisters and Sisterhood


Ultimamente non riesco a smettere di ascoltare le canzoni di queste due sorelle. Mi mettono incredibilmente di buon umore, e mi ricordano tanto me e mia sorella da piccole quando cantavano le canzoni dei cartoni animati.

Avere una sorella è bellissimo, e ora che mia sorella è lontana mi manca davvero tanto.

Penso spesso a quando nei film americani ci sono famiglie che non si vedono da anni perchè magari hanno litigato una volta e hanno smesso di parlarsi. Mi viene sempre una certa tristezza. Voglio dire, gli amici magari vanno e vengono, e in fondo possiamo fare nuovi amici ovunque. Ma i nostri fratelli e sorelle non sono tanti. In rari casi magari sono 3 o 4, ma più spesso sono uno o due. Sono speciali. Un fratello o una sorella è quasi un altro te stesso. Sa quasi tutto di te. Ha condiviso con te infanzia, giochi, sgridate, avventure.

Insomma, in onore di questo breve post su fratelli e sorelle, ecco me e la mia sorellina da piccole:

Sorelle

 

 

 

Pendolarismo e perché cercare una vita svincolata da un luogo fisico

Ecco insomma, questo è: sono una pendolare anche se mai avrei pensato di diventarlo.
Chiaramente nella vita si cambia, eccome. Mai avrei pensato di fare la pendolare perchè implica una perdita di tempo spaventosa.
Davvero, quando penso alle 3 ore al giorno (a volte piú, se il treno ritarda come ha fatto oggi) davvero mi sembra che la mia vita venga mangiata da questo andirivieni. E onestamente, è cosí.
Il problema è questo: dovremmo considerare assurdo il fatto di muoverci per lavorare, mentre per molti non lo è. Il lavaggio del cervello di cui siamo tutti vittime ci dice che è normale. Studia, trova un lavoro, compra una casa e fai un mutuo, viaggia per andare al lavoro fino a che non raggiungerai la pensione, avrai ripagato il mutuo e potrai finalmente goderti la vita. C’è un piccolo problema: che quando sarai pronto per goderti la vita, la vita sarà alla fine.
Fare la pendolare mi spinge a chiedermi come fare a uscire da questa trappola. Mi spinge a leggere e studiare per trovare un’alternativa. Inoltre, per assurdo, mi dà anche il tempo per farlo.
Nella frustrazione di dover passare ore e ore su un treno, ho trovato la spinta per cercare uno stile di vita alternativo. Studio come hanno fatto altri a uscire da questo schema di vita, magari perchè hanno costruito un business, un sito web che produce profitto passivo, perchè hanno imparato a investire e quindi hanno tolto il problema soldi. La cosa difficile non è trovare gli strumenti, ma imparare il processo. La differenza tra uno chef e una persona che non sa cucinare non è la mancanza di ingredienti (entrambi hanno accesso a un supermercato, potenzialmente, no?) ma la mancanza di conoscenza, nello specifico la conoscenza del processo.
Nella costruzione di una fonte di reddito, che sia un sito o un business offline, sono coinvolti sia gli strumenti che i processi, e occorre conoscerli entrambi. Cosí, nelle mie lunghe ore di pendolarismo nutro il mio cervello di informazioni e il mio spirito di idee. Per ora non so esattamente cosa sto facendo, ma sento che presto tutto avrà un senso.
Se anche voi siete su questo percorso, alcune delle cose che sto leggendo potrebbero ispirarvi:
Il blog di Smart Passive Income
Il blog di E-commerce Fuel
The Four Hours Week Blog
The Millionaire Fastlane
Psicocibernetica
Rich Dad, Poor Dad

Ecco, non pensate che leggere qualche libro risolva il problema. Se cosí fosse sarei già ricca e invece non lo sono. Però mette nella predisposizione mentale di cercare una strada, e si sa: chi cerca trova.
Buon viaggio

Perchè la cultura aziendale è importante

Cos’è la cultura aziendale

La cultura aziendale è quell’insieme di valori che caratterizza l’identità di un’azienda. Inoltre, è anche quell’insieme di valori che l’azienda cerca nei candidati perchè possano diventare parte dalla compagnia.

Nei paesi anglofoni si usa molto dire che quando una persona è adatta alla cultura aziendale è un buon “culture fit”. In concreto significa che il carattere della persona rispecchia il carattere dell’azienda, ed è una persona con cui andresti volentieri a farti una birra insieme.

Mi direte ora che tutte le aziende hanno un’identità, tutte hanno dei valori perchè tutte le persone hanno dei valori.

Non è così.

La cultura aziendale infatti non si limita alla somma dei valori individuali delle persone che vi lavorano. La cultura aziendale è l’insieme dei valori dell’azienda stessa.

In concreto, in un’azienda di 100 persone tutte e 100 possono pensare che essere amichevoli con il prossimo sia cosa buona e giusta. Tuttavia, può darsi che essere amichevoli verso i colleghi non sia parte della cultura aziendale, non è parte dell’identità dell’azienda, non viene chiesto come parte del lavoro e non sia parte dei criteri che si seguono quando si assumono nuove persone.

Ho iniziato ad essere interessata al concetto di cultura aziendale quando mi hanno suggerito di leggere il libro “Delivering happiness”, la storia dell’azienda Zappos. Il fondatore racconta di come prima di lavorare in Zappos avesse creato un’azienda sua dove all’inizio vi era una cultura aziendale molto forte: l’azienda era piccola e fondata da pochi amici, così che i valori che essi avevano deciso di portare avanti come azienda erano ovviamente di lavorare in amonia, collaborazione e rispetto reciproco, con un forte interesse all’innovazione e facendo tutto con grande divertimento, che in ultimo luogo favorisce la creatività.

Ma a causa della rapida crescita dell’azienda in breve tempo dovettero assumere un grande numero di persone senza badare troppo che fossero un buon “culture fit” o meno. In parole povere, iniziarono ad assumere persone che non credevano necessariamente nel lavorare in armonia, nel creare un ambiente di lavoro divertente, nel collaborare e nell’essere creativi. Questo portò la sua prima azienda a perdere la sua cultura, e alla fine, come racconta l’autore nel suo libro, “diventò un posto in cui non volevo più lavorare, e da cui non vedevo l’ora di andare via.”

Questa storia è stata per me molto utile per rivedere tutte le esperienze lavorative che ho avuto in passato e capire che tipo di cultura aziendale c’era. Mi sono presto resa conto che in nessun posto in cui avevo lavorato in passato esisteva una vera e propria cultura aziendale. Se si creava sintonia con i colleghi, tanto meglio, ma non era una cosa che veniva costruita intenzionalmente dalla direzione.

Affascinata da questo concetto ho iniziato a guardare un po’ più da vicino le aziende che davano, da fuori, l’idea di avere una bella cultura aziendale, e mi sono detta: “Se devo lavorare per qualcuno, vorrei lavorare per una di queste aziende.”

Così ho identificato AirBnb, Dropbox, HootSuite, Evernote, HubSpot, Name.com e poche altre.

Ci sono parecchie informazioni online su queste aziende. Vanno fiere della loro cultura aziendale e quindi ci tengono a condividerla all’esterno. Secondo me si può capire la cultura di un’azienda dalla vivacità del loro sito web. Se vedo un sito web molto serioso, so che non mi piacerebbe lavorare lì. Se non vedo foto dei dipendenti sul sito aziendale, so che non mi piacerebbe lavorare lì. Se in generale ho la sensazione che lavorare in quell’azienda sia una noia mortale, non mi piacerebbe lavorare lì.

Ho avuto la fortuna di trovare effettivamente lavoro in una delle aziende che ho menzionato prima. Quando sono entrata in HootSuite ho capito in prima persona il concetto di cultua aziendale.

L’ho vissuto sulla mia pelle e tutti i concetti che prima avevo studiato hanno acquistato senso. In concreto, la cultura aziendale di HootSuite è basata su un forte senso di amicizia. In generale tutti all’interno dell’azienda sono molto amichevoli e quando si assumono nuove persone si cercano persone amichevoli. Può sembrare una banalità, ma questo crea la base per un ambiente sereno che ho raramente trovato in altri posti. In secondo luogo, il divertimento è integrato nella vita aziendale. C’è sempre un clima un po’ di festa, e questo fa sì che alla mattina mentre vado al lavoro ho sempre la sensazione di andare a fare una scampagnata con gli amici.

Terzo, c’è un forte senso di parità. I manager e i manager dei manager sono in realtà persone molto umili e disponibili, che non hanno manie di superiorità e controllo come hanno solitamente i capi di altre aziende.

Ieri mi è capitato di pranzare di fianco al nostro CFO senza sapere che era il CFO e come sempre ho trovato che fosse una persona aperta e amichevole. Solo dopo ho scoperto che era il mio CFO…

Non siamo tenuti a vestire in modo formale, e questo fa sì che l’ambiente sia sempre molto colorato.

Infine, una cosa che adoro: esiste l’abitudine, il venerdì pomeriggio, di finire un’ora prima e prendere una birra insieme dalla spina che abbiamo in ufficio. Sì, esatto, abbiamo una spina di birra in ufficio.

Siamo ormai 600 persone tra i due uffici (Vancouver e Londra) e sono state assunte tante persone molto rapidamente. È difficile mantenere la stessa cultura aziendale, ed è normale che le nuove persone (me inclusa, poichè sono ancora relativamente nuova) apportino il loro bagaglio di esperienze e il loro tocco personale alla comunità. Tuttavia c’è uno sforzo costante di mantenere l’ambiente divertente, costruttivo, sereno. E pare questo funzioni anche a livello di ritorno economico, data la rapidità della nostra crescita..

Forse che lavorare in modo più divertente voglia dire anche lavorare in modo più produttivo?

 

 

 

 

 

 

Cosa sto imparando col mio lavoro in Hootsuite

Sull’imprenditorialità, l’ingegno e il coraggio

Il mio lavoro è fantastico. Come social media coach parlo con le persone e le aiuto a migliorare il proprio business con i social media. Amo aiutare le persone, amo le imprese che lavorano in modo innovativo e amo i social. Quindi direi che ho fatto bingo.

Non è sempre stato così. C’è stato un tempo in cui il business non mi interessava, e i social nemmeno. Ho fatto un liceo linguistico, poi ho preso una laurea in antropologia e insomma, ero proprio in un altro mondo. Un mondo fatto di filosofia, pensieri e di cose eteree. Pensavo che il denaro fosse il male puro, che la tecnologia fosse pericolosa, che gli imprenditori fossero persone egoiste e attaccate ai soldi, e che il capitalismo fosse la causa della povertà di troppi paesi. Sono ancora convinta che il capitalismo nella sua versione più egoistica sia responsabile di tantissimi danni. Nel corso degli anni però ho aperto gli occhi su tante cose, e pur senza rinnegare i miei valori fondamentali ho capito che il denaro non è il male puro, che la tecnologia può essere nostra alleata e che la maggior parte delle imprese sono l’espressione dell’ingegnosità delle persone, non entità maligne che rovinano il mondo. Le piccole e medie imprese sono quelle che fanno avanzare un paese, che sperimentano nuove tecnologie e sono quelle che spesso incontrano le più grandi difficoltà.

In questi due mesi di lavoro con HootSuite ho parlato con tante imprese italiane medio-piccole, tanti liberi professionisti e freelancer che cercano di migliorare il mondo con le loro attività. Nel migliorare il mondo migliorano anche la loro vita poichè si pongono costantemente alla prova e crescono come esseri umani. Capisco cosa voglia dire vivere una vita di incertezza, di continua crescita personale ed evoluzione. Lo capisco perchè l’evoluzione personale è stato il principio che ha sempre guidato la mia vita. Ma non avevo mai applicato questo principio all’ambito professionale. E invece ora parlo con tante imprese che si sforzano di evolvere professionalmente, di accettare nuovi processi e nuovi strumenti come i social media. Sento che a molti costa fatica, lo percepisco nel loro tono e nelle domande. Credo sia normale, perchè il nostro paese ci condiziona ad aver paura del nuovo. Quindi abbiamo un fardello mentale con cui fare i conti prima di aprirci a cose nuove. Ma molti lo stanno facendo e provo molta stima per queste persone e aziende. Mi insegnano cosa sia l’imprenditorialità, l’ingegno e il coraggio.

Mi insegnano molto di più di quanto io non insegni loro, e a loro va il mio grazie più grande.

 

 

#LoveLondon In The Weekend

Il weekend a Londra è un po’ diverso dai giorni di lavoro.

Da quando ho iniziato a lavorare a Hootsuite, qui nel loro ufficio della capitale, non avevo ancora avuto tempo di vedere la città con calma. E durante i giorni centrali della settimana si vede solo il caos e la frenesia. Invece nel weekend mi è sembrata più rilassata (o forse ero più rilassata io, non so…)

In realtà mi piacciono entrambe le sue facce, quella professionale e quella romantica. Sì, devo dirlo: dopo un primo periodo di adattamento un po’ turbolento, Londra è diventata la mia nuova dipendenza. Bella, immensa, colorata, seducente. Dopo il weekend passato in giro per la città la amo ancora di più.

Questo è il panorama che ho visto sabato. Da togliere il fiato. Pensavo di essere inciampata dentro un quadro come Mary Poppins perché era troppo bello per essere vero.

 

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E da lì si può vedere Canary Wharf proprio di fronte:

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E poi, dopo una birra sul molo, prendete il traghetto che vi porta di nuovo verso ovest, al centro della città. Una scoperta.

L’altra scoperta della settimana è stata Uber, l’app che ti fa prenotare un’auto con un click. Un taxi, ma non un taxi. Macchine normali o anche molto di lusso a seconda di quello che vuoi. Dal tuo cellulare selezioni un punto sulla mappa e vedi la tua auto arrivare. So freaking awesome!

Devo dire che se hai uno smartphone e un fidanzato fantastico che ti porta in giro, Londra è un sogno. Anche senza smartphone..

Come ho iniziato a lavorare con Hootsuite

Storia di una fortunata appassionata di social media

La mia storia inizia 29 anni fa. La mia storia sui social media ha solo un paio d’anni. E comincia così…

C’era una volta una ragazza italiana con le idee molto confuse. Dopo aver vissuto una giovinezza intensa e travagliata, decide di lasciare la sua città per cambiare aria. Come tanti altri ragazzi subiva il fascino della Spagna, del sole e della gente aperta. Così fa domanda per un progetto di tirocinio europeo. Quando lo vince, lascia il suo lavoro in Italia da 900 euro al mese e va in Spagna, a Siviglia, dove prende ancora meno. Certo, si chiama tirocinio.

La ragazza si gode i mesi in Spagna, dove inizia a fare la traduttrice ora che sa parlare italiano, spagnolo, inglese e francese. Ma purtroppo, con una magra laurea in Antropologia, dura è la strada nel mondo della traduzione. Si trasferisce allora in Inghilterra dove frequenta un master in Traduzione e Interpretariato. Nel mentre, apre un blog sulla traduzione, in cui condividere le sue riflessioni sulle lingue e sul suo lavoro. Continua a lavorare come freelance, ma parallelamente il blog la porta ad appassionarsi sempre di più al mondo del digitale. I social media diventano parte del suo lavoro, perché per promuoversi come freelance bisogna stabilire una presenza online. Era arabo all’inizio, ma poi tutto diventa chiaro, il processo, i meccanismi, quali social usare e come usarli. Il blog viene integrato con Twitter, Facebook, Google Plus, le interviste a traduttori vengono pubblicate su SoundCloud e le foto pinnate su Pinterest. Ogni social è un mondo a parte, con regole sue. Questi mondi diventano la sua passione, tanto che apre un secondo blog, questa volta sui social media. Poiché ha tanti profili comincia a cercare un modo per gestire tutti questi account da una piattaforma unica. Ne scopre diversi: Buffer, TweetDeck, Socialoomph e così via. Ma ce n’è uno che cattura la sua attenzione per efficacia e per simpatia del brand: HootSuite.

Hootsuite diventa strumento fondamentale per programmare gli aggiornamenti, per monitorare le conversazioni sui social, scoprire cosa viene detto attorno a uno specifico tema e cosi via. HootSuite le piace tanto, al punto che inizia a tenere d’occhio l’azienda con sempre maggior interesse. Un giorno scopre che c’è una posizione aperta per un Social Media Coach per l’Italia e la Spagna. Che meraviglia! Aiutare le persone a utilizzare HootSuite, lavorare in un’azienda così giovane e innovativa e internazionale! Fa domanda subito. Purtroppo non ha un titolo in marketing, né un’esperienza specifica. Ma ha provato sulla sua pelle cosa vuol dire dover gestire la propria presenza online per lavoro, e quanto sia difficile farlo manualmente. Magari può portare un punto di vista nuovo dentro l’azienda, e con la sua esperienza in traduzione può rifinire il messaggio nei due nuovi paesi. Pare che funzioni, perché dopo aver visto i suoi blog e ascoltato quello che ha da dire, la assumono. E fu così che una fortunata appassionata di social media iniziò a lavorare con HootSuite, facendo un lavoro fantastico in un’azienda fantastica. L’avventura inizia.

PS: Mi potete ascoltare settimanalmete nei miei webinar dal vivo in italiano e spagnolo che trovate qui: http://learnwith.hootsuite.com/smc-live-europe.

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Londra è Fantastica

Londra è fantastica ma è anche una sfida

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Sì è così, Londra è una città meravigliosa che ama renderti la vita difficile.

La mia relazione con l’Inghilterra è iniziata piano piano, sono entrata dalla porta di servizio per così dire. Sono arrivata nel lontano luglio 2012 per abitare a Colchester, dove ho fatto un master in traduzione. Un impatto delicato, perché ho avuto tempo di abituarmi a tante cose tipicamente inglesi senza dover fare i conti con la frenesia della metropoli. Ho vissuto lì per un anno e mezzo, e ora vivo a Londra.

Ecco, guardandomi indietro ringrazio il fatto di aver abitato in un paesino per un anno e mezzo prima di spostarmi nella capitale, perché se no credo che avrei avuto un trauma. La città è un casino, le linee di metro si intrecciano e mi ci è voluto un po’ per capire che la DLR non è una linea di metro ma invece gira in superficie. Mi sono persa in un bel po’ di strade, nonostante avessi sempre la mappa sullo smartphone. E devo ammettere che sono riuscita a perdermi anche dentro fermate della metro.

La cosa più bella è quando provo a cambiare percorso, a prendere un’altra linea perché mi sento avventurosa, e sbuco fuori da una stazione che mi sembra di essere in un’altra città. Così ieri sono sbucata a Canary Wharf, la zona dove ora stanno tutti gli uffici e in giro si vedono solo uomini d’affari. Non sembra attraente. Eppure, quando sono uscita dalla metro che faceva già buio e ho visto questi palazzi enormi pieni di luce stagliarsi contro la notte per un attimo mi sono emozionata. Ho proprio pensato: “che meraviglia…”London - Londra

Il che è strano, perché non c’è molto di meraviglioso in un palazzo pieno di uffici. Ma sarà che ero nell’umore di trovare bellezza ovunque stile sacchetto di plastica in American Beauty, e così il fascino della città mi ha colpita in pieno. Mi sono sentita al centro del mondo, ho sentito che tutto poteva succedere.

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Ricordo che quando arrivai in Inghilterra per i primi mesi non riuscivo a capire cosa mi dicesse la gente. E se avessi dovuto orientarmi a Londra senza neanche capire bene la lingua avrei avuto una crisi di nervi ogni due giorni. Invece fortuna ha voluto che abbia avuto il tempo di adattarmi alla lingua in un posto dove non dovevo chiedere troppe informazioni perché ci sono 4 strade in tutto.

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Così ora posso giocare al mio gioco preferito nelle grandi città: chiedere informazioni agli sconosciuti e vedere per quanto tempo riesco a intavolare una conversazione. Ieri sono stata fortunata, ho incontrato una ragazza simpaticissima, alla quale ho chiesto come uscire da quella maledetta stazione di Canary Wharf. Sarà perché stava aspettando suo marito che era in ritardo, o sarà perché era incinta e gli ormoni della maternità la mettevano di buon umore, siamo rimaste a parlare per dieci minuti. Non male per una conversazione iniziata col chiedere come uscire nella direzione giusta da una stazione di metro! C’è chi dice che gli inglesi siano tutti chiusi. Certo, statisticamente sono di più le persone riservate di quelle estroverse. Però c’è anche chi dice che gli italiani siano tutti mafiosi, e benché statisticamente abbiamo più mafia che in paesi tipo la Norvegia, non vuol dire che lo siamo tutti. Mi piace rompere gli stereotipi, e così ho chiacchierato per più di dieci minuti con la simpatica ragazza inglese incinta, che portava una graziosa spilletta col simbolo della metro e la scritta Baby on Board. Questo fa sì che nella metro abbia il diritto di chiedere un posto a sedere a chiunque, e di solito glielo danno. Questo è un altro stereotipo sull’Inghilterra, che gli inglesi siano più civili. Statisticamente, è vero. Così a pelle, in questi due anni ho visto livelli di senso civico un po’ più alti che nella mia terra, ma poi sai, chi può dire davvero. Trovi sempre quello con la luna storta che ti risponde male anche se è inglese. Sopratutto in questa città, che è meravigliosa ma a volte mette davvero a dura prova la tua pazienza. #loveLondon


Perchè AdSense Non Ti Farà Mai Diventare Ricco

Quando decidi di monetizzare un blog e inizi a fare un po’ di ricerca sui possibili modi di farlo troverai tanti consigli di gente che si proclama esperta in questo campo. E la prima cosa che suggeriscono tutti è AdSense. Ma è davvero il modo migliore e più veloce di monetizzare un blog? Vediamo…

Cos’è AdSense?

AdSense è il programma di Google che va di pari passo con AdWord. Con Adword le aziende pagano Google per mostrare i loro annunci pubblicitari. Con AdSense Google paga i possessori di blog per mostrare questi banner. Se ti registri con AdSense diventi “publisher di Google” ed entri a far parte di un network di blog e siti web che si rendono disponibili per mostrare pubblicità. Puoi mettere a disposizione uno, due o più spazi sul tuo blog. Puoi decidere le dimensioni del banner, e quando vuoi mostrarli (per esempio puoi disattivarli per un periodo se lo desideri).

Registrarsi su AdSense è gratuito, e questo è il motivo principale per cui viene consigliato per partire: non ci sono rischi. D’altro lato, basso rischio di solito significa anche basso guadagno, e purtroppo AdSense non ti farà diventare milionario in una notte. La domanda successiva infatti è: quanto posso guadagnare con AdSense?

Quanto posso guadagnare con AdSense?

Quanto si può veramente guadagnare con AdSense? Se trovi qualcuno online che dice di aver fatto i milioni con AdSense, sta mentendo spudoratamente. Gli unici siti che fanno veramente soldi con AdSense sono quelli che hanno migliaia di visite al giorno. Non mille o duemila visite, intendo molte migliaia.

Ho installato AdSense sul mio blog TranslatorThoughts e questo è quello che ho guadagnato in 4 mesi:

Guadagnare con AdSense

Sì esatto, 3,34 £ in 4 mesi. Certo, il mio sito non riceve migliaia di visite, e inoltre nel corso di questi 4 mesi ho spesso interrotto il programma per fare degli esperimenti. Ricorda inoltre che non sono tanto le visite che contano quanto i clic. AdSense è un programma “Pay Per Click” o PPC. Come dice la parola, vieni pagato per ogni clic. In alto puoi vedere i dati: 25 clic mi hanno fatto guadagnare 3,34 £, con un guadagno medio di 0,14 £. In realtà il guadagno di ogni clic è diverso, e dipende da un complicato calcolo che fa Google per decidere quanto far pagare l’advertiser (ovvero la persona che paga Google per fare pubblicità). A volte un clic viene pagato 60 cent, a volte 5 cent, a volte 1 cent.

Che tipo di annuncio comparirà sul mio blog?

Ci sono due gruppi di annunci: testo e banner (o display ads). Quando crei un nuovo annuncio puoi scegliere tu se mostrare annunci pubblicitari con testo, con immagini o entrambe le opzioni:

Display_o_testo

 

 

Gli annunci di testo vanno bene se vuoi integrare l’annuncio nel corpo degli articoli, cioè inserirli negli articoli stessi. In questo modo l’annuncio si mischia al testo è il risultato è…ok, non bellissimo, ma accettabile.

I banner invece sono pure immagini:

Banner

 

AdSense sì, AdSense no

A questo punto la domanda finale: inizio ad usare AdSense o no? La mia risposta è: se hai un blog che non stai monetizzando in nessun altro modo, inizia con AdSense. Ma non tanto per il guadagno in sè (che appunto, non supererà i pochi euro). Registrati su AdSense per provare l’emozione del tuo primo guadagno online. Guadagnare su internet è fantastico. C’è tantissimo da imparare, molta informazione e molta confusione. Per guadagnare online dovrai usare un po’ di creatività e sperimentare molto, quindi prima parti meglio è. Se parti con AdSense ottieni un vantaggio immediato: hai fatto il primo passo in quella direzione. Quando accedi al tuo account e vedi quei pochi centesimi che non c’erano la sera prima senti un brivido e ti dici: “ma allora è possibile!” e vorrai sperimentare di più. Dopo pochi mesi probabilmente ti stancherai di AdSense e lo toglierai dal tuo blog. Ma avrai imparato una lezione importante: guadagnare su internet non è facile, ma è possibile. Ora continua a sperimentare fino a che non trovi ciò che più si adatta al tuo blog. Detto ciò, tieni presente che un blog non è la struttura migliore per guadagnare: nasce per comunicare in modo gratuito, quindi se durante il tuo percorso vorrai costruire un vero business online dovrai integrare il tuo blog con altre strutture (un forum, una community, un sito di e-commerce o altro) o creare un altro tipo di piattaforma.

La Guida Completa per Creare Un Sito Professionale In 10 Minuti

Perché Creare Un Tuo Sito e Come Fare

Quando inizi a lavorare come freelance hai due scelte: puoi vederti come un impiegato in cerca di lavoro, o puoi pensarti come un imprenditore in cerca di clienti. In Italia spesso la parola imprenditore ha una connotazione negativa: pensiamo agli imprenditori che sfruttano il lavoro dei bambini in Cina e diventano ricchi e avidi. Non deve essere per forza così. Il web ha aperto il mondo dell’imprenditorialità a chiunque, un’imprenditorialità che potrebbe risollevare le sorti del nostro paese. Chiunque può diventare imprenditore online, oppure avere un business offline e promuoverlo con un sito.

Quando inizi a lavorare come freelance diventi di fatto un piccolo imprenditore. Certo la tua azienda è piccola (ci sei solo tu all’inizio) ma la struttura è la stessa delle grandi imprese: hai un servizio da offrire, sai che questo servizio potrebbe risolvere i problemi di alcune persone, cerchi di raggiungere queste persone e di farle diventare tuoi clienti.

Qualche anno fa l’unico modo per promuovere i propri servizi era tramite pubblicità su giornali e radio. Oggi non deve essere così per forza. Non c’è bisogno di investire grossi capitali in pubblicità per convincere le persone ad ascoltare quello che hai da dire: si può andare là dove i tuoi potenziali clienti sono già, ovvero dove cercano le risposte ai loro problemi. Se sei in grado di offrire risposte ai loro problemi, li avrai già conquistati.

Da che parte si inizia? Pensa a quello che fai tu quando cerchi risposte a un tuo problema. Cosa fai? Chiedi ad amici e parenti, anni fa forse saresti andato in biblioteca a prendere qualche libro, vai da un esperto a pagamento. Oppure vai in rete e cominci a cercare. E se trovi qualcuno che ti sa aiutare offrendoti una soluzione molto probabilmente comprerai quella soluzione.

Se anche tu vuoi essere parte di questo processo come una persona che offre servizi (e quindi soluzioni ai tuoi clienti) occorre che tu sia lì dove i tuoi clienti vanno: online, con un tuo sito web.

Ecco perchè ho deciso di creare questa guida: per insegnare a tutti come creare un sito web. Alcuni pensano che debba costare migliaia di euro. Non è così. Forse farò arrabbiare alcune agenzie digitali, facendogli perdere alcuni clienti. C’est la vie. Non possiamo sempre far contenti tutti. Tieni presente però che quello che ti insegno in questo libro ti permette di creare un sito abbastanza semplice. Se vuoi un sito molto elaborato, devi ancora rivolgerti ad un’agenzia o un programmatore esperto.

La soddisfazione di creare il tuo primo sito è enorme e non vedo l’ora di poterla condividere con te mostrandoti come fare. Per prima cosa però devi però essere consapevole che sarai l’unico responsabile del tuo sito, e devi avere voglia di prenderti questa responsabilità anche se non sei un programmatore. É difficile, non voglio mentirti dicendo che è una passeggiata. È difficile ma fattibile se ci metti impegno e determinazione.

Secondo punto: ci sono tanti prodotti che ti offrono siti gratuiti: Yola, Weebly, Wix, Blogger, Tumbler solo per nominarne qualcuno. Vanno bene per iniziare. Questi servizi però non ti permettono di avere pieno controllo sul tuo sito. Spesso inoltre devi avere il loro nome nel tuo dominio, per esempio Chiara.yolasite.com (il mio primo sito in effetti era con Yola).

Lascio a te di scoprire questi servizi ai quali non sono molto interessata. Quello che ti insegno oggi ti permette di creare un sito ospitato da un server privato dove avrai un tuo dominio privato e gestirai il contenuto tramite WordPress, il più famoso Content Management System (ovvero un sistema per gestire il contenuto di un sito senza dover scrivere il codice HTML)

Il servizio di hosting e il sito per comprare temi WordPress che ti suggerisco qui sono quelli che uso per i miei siti. Li consiglio perchè li conosco, e li conosco perchè li uso. Non consiglierei qualcosa che non ho prima sperimentato io stessa. Ti stai chiedendo cos’è un servizio di hosting e cos’è un tema WordPress? Continua a leggere.

Guadagnare Online. Un tabù?

Vita da blogger e guadagno online.

Si lo ammetto, mi piace il termine blogger, mi piace il suono, come bolla, o ballare, bloggare. Bello anche lo stile di vita che esprime. Essere una blogger è fantastico, soprattutto quando essere blogger passa dall’essere un hobby a essere qualcosa di più serio. Sempre più persone vivono con il blogging, nel senso che è la loro primaria fonte di guadagno. Secondo me è bello anche scrivere per pura passione. Ma vi garantisco che diventa fantastico quando puoi fare tutte e due le cose: seguire la tua passione e guadagnare.

Trovo che spesso ci sia un’idea negativa di chi fa soldi online. Come che fosse un peccato mortale ricevere delle commissioni da link di affiliazione. Ma io dico: se compri un libro, lo paghi no? Se compri un abbonamento a Sky, lo paghi no? La fantastica TV italiana non la paghi, ma la pubblicità te la guardi, quindi qualcun’altro paga, no?

Noi blogger creiamo un sacco di contenuto di qualità, gratuito, spesso non mettiamo neanche la pubblicità sui nostri blog (su questo ad esempio non credo la metterò mai) e lo facciamo perchè ci piace scrivere e siamo appassionati di quello di cui scriviamo. Molto spesso siamo anche più esperti di alcuni consulenti che si fanno pagare, perchè noi blogger stiamo tutto il tempo online a studiare, mentre i consulenti che si ritengono esperti credono di non dover studiare più niente. In generale, siamo tutti felici di farlo. Ma non vedo niente di male nel finanziare il nostro blog in qualche modo. Negli Stati Uniti c’è un atteggiamento molto più tranquillo nei confronti dei blogger o di chi fa marketing online, anche se in realtà ci sono alcuni che ancora sparano molte critiche. Si sa che mantenere un sito costa e in qualche modo lo si deve finanziare. Ora, c’è chi per fare soldi online ti venderebbe anche suo fratello e chi invece lo fa in modo corretto. Suggerisce prodotti buoni, che ha provato, e che risolvono problemi reali o danno risposte in 2 secondi risparmiando ore di ricerche online. Uno dei personaggi più famosi che fa business online è Patt Flynn, che seguo e ammiro molto. Fa soldi online in vari modi, ma sempre in modo molto trasparente. Ti dice: “questo link è un link di affiliazione, se vuoi comprare il prodotto puoi anche andare direttamente sulla loro pagina ma se lo compri tramite questo link mi fai ricevere una commissione. Se lo farai, ti ringrazio in anticipo”. E tutti a dire: “ecco, i prodotti che mi suggerisce lo fanno guadagnare, per forza li suggerisce. Il suo parere non è obiettivo…”

C’è differenza. La RAI, quando ti spara la sua pubblicità, non sceglie solo i prodotti migliori. Pubblicizza la FIAT, poi la Mercedes, poi la Toyota, poi la Renault, poi la BMW e insomma hai capito. Non gli interessa quale di questi prodotti sia il migliore, gli interessa che ci guadagna.

Un blogger è diverso (quelli seri e corretti). Se un blogger è serio e corretto fa pubblicità solo a prodotti che usa e ha provato. Di solito ne evidenzia anche gli aspetti negativi, per essere ancora più trasparente. Ti dà il suo parere, ti spiega come usarli, crea dei video tutorial, insomma ti da un valore aggiunto che non avresti andando direttamente sul sito dell’azienda. Mi sembra giusto ricompensarli in qualche modo. Dalle mie parti si dice: non puoi avere la botte piena e la moglie ubriaca. Ovvero, non puoi avere un prodotto completamente gratuito senza pubblicità, e non puoi avere un prodotto senza pubblicità completamente gratuito. Se non vuoi pagare tu, ci deve essere qualcun’altro che paga, uno sponsor o un finanziatore. Ma i soldi da qualche parte devono arrivare. I soldi, per chi fa business, sono importanti. Solo in Italia continuiamo a pensare che i soldi siano il male puro. La mia visione da ex-antropologa è che per quanto nessuno più si dichiari cattolico, il cattolicesimo ci è entrato nelle vene e il detto biblico “è più facile che un cammello passi per la cruna di un ago che un ricco entri nel regno dei cieli” ci ha fatto fatto pensare che il denaro sia il diavolo. Non per niente, i paesi cattolici sono quelli con un’economia in rovina, mentre i paesi protestanti (Germania col luteranesimo, Inghilterra e Stati Uniti col calvinismo) hanno più rispetto di chi si dà da fare e si rende utile alla società creando business, imprese, lavoro e benessere per il paese.

Guadagnare online non è sbagliato, essere intraprendenti e imprenditori fa avanzare un paese e la sua economia. Tante aziende americane che oggi valgono milioni sono nate come blog. Mashable, Tech Crunch, Life Hacker…sono blog che si sono trasformati in aziende, e oggi creano lavoro, soldi e benessere.

Spero prima o poi anche anche l’Italia riesca a passare per questa benedetta cruna dell’ago.

Creare i propri pensieri

“Hai il potere di guarire la tua vita, e devi esserne consapevole. Spesso pensiamo di non avere nessun potere, ma non è così. Abbiamo il potere delle nostre menti. Abbiamo sempre il potere delle nostre menti. Rivendica e usa questo potere con consapevolezza.”

Louise Hay

Louise Hay è una delle mie autrici preferite. Il primo libro che ho letto è stato “You can heal your life”, tradotto con Puoi guarire la tua vita. L’ho trovato per caso mentre curiosavo nella libreria di un amico, tanti anni fa. Dopo averne sfogliato poche pagine, gliel’ho chiesto in prestito, sono andata a casa e mi sono immersa nella lettura. Qualcosa mi diceva che quel libro sarebbe stato importante.

Il libro parla di come guarire le ferite della nostra vita, imparare ad amarci, creare la nostra vita e i nostri pensieri.

Credo che tutti noi abbiamo qualcosa da guarire nella nostra vita. A volte possiamo andare avanti anni senza sentire il bisogno di affrontare e curare ciò che va curato, a volte invece è un bisogno pressante. E quando il bisogno si fa importante cominciamo, inconsciamente, a cercare. E così troviamo risposte.

Così è stato per me. Era giunto il momento di iniziare a cercare risposte. Come per magia, mi è capitato per le mani questo libro. Ed è stato l’inizio di un viaggio.

Non è mai lo strumento che provoca il cambiamento. Lo strumento è solo un mezzo. Siamo noi la chiave del cambiamento. Siamo noi che decidiamo, a un certo punto, di cambiare e di prenderci la responsabilità della nostra vita e della nostra felicità. Essere felici e avere una vita bella non capita per caso, lo dobbiamo costruire prendendoci la responsabilità del nostro destino.

Troppo spesso diamo la colpa a fattori esterni se le cose vanno male o siamo infelici. Quando qualcosa va storto potremmo ritrovarci a dire “Non è colpa mia, è stato lui, è stata lei, è il tempo, è la condizione storica, è l’economia, è il destino…”

Questa è la condizione da cui partiamo tutti. Una condizione di non consapevolezza. Crediamo che la nostra felicità dipenda dal bel tempo, dall’avere un lavoro, dall’avere fortuna, dall’avere buone occasioni, dall’avere relazioni soddisfacenti. Invece è proprio il contrario: è la nostra volontà di essere felici che ci fa apprezzare qualunque condizione climatica, che ci fa creare occasioni lavorative, che ci fa trovare buone occasioni, che ci fa creare relazioni soddisfacenti. La nostra volontà crea il nostro destino, non viceversa.

Ma io non lo sapevo, e come me non lo sanno tanti altri. Quando ho aperto le pagine di questo libro e ho letto:

“Ogni pensiero che pensiamo crea il nostro futuro” sul momento mi sono arrabbiata. Ho detto a me stessa che non sono io a creare i miei pensieri, che sono loro a entrare nella mia testa. Quando ho letto “Tu sei l’unica persona a pensare nella tua mente. Tu sei il potere e l’autorità nel tuo mondo” ho detto no, non è così per me. Ci sono altri che parlano nella mia mente. Genitori, maestri, professori, commenti negativi che si ripetono, parole che mi hanno ferita, persone che in passato mi hanno detto che non ero abbastanza brava…tutti questi pensieri a volte entrano nella mia mente e mi fanno dubitare di me stessa. Quindi non sono l’unica a pensare nella mia mente. C’è il mio passato a pensare per me.

Ho continuato a leggere, e nonostante la rabbia che provavo nel leggere alcune frasi, ho terminato il libro. Ho iniziato a fare meditazione tutte le mattine, ad ascoltare il mio respiro e concentrarmi nel momento presente, ad osservare i miei pensieri negativi senza identificarmi con essi. Dopo questo libro ne sono arrivati tanti altri, come per caso entravano nella mia vita tramite suggerimenti di amici o perchè il libro che stavo leggendo li citava. Dopo “Puoi guarire la tua vita
è stato la volta de “La via dell’artista. Come ascoltare e far crescere l’artista che è in noi“. Poi del libro di Lise Bourbeau “Le cinque ferite e come guarirle” e della nuova medicina germanica Le 5 Leggi Biologiche e la Nuova Medicina del Dr. Hamer.

Come dicevo prima, i libri non sono la risposta, sono le domande giuste. Sono le domande giuste che ci fanno cercare la risposta nella giusta direzione. Come disse il mio istruttore di guida “Ovunque tu diriga gli occhi guiderai, inconsciamente, anche la macchina, quindi guarda dove vuoi arrivare e inconsciamente guiderai la tua macchina là”.

Prima di iniziare il mio percorso di consapevolezza mi facevo domande del tipo “Perchè non sono felice? Perchè capitano tutte a me? Perchè sono così timida? Perchè non ottengo quello che voglio? Perchè non so capire cosa voglio?”

Stavo dirigendo il mio sguardo verso i problemi, e inconsciamente portavo la mia vita verso altri problemi. Inoltre questo ti porta facilmente a rispondere con risposte a tono, per esempio “perchè te lo meriti, perchè sei stupida, perchè non vali niente” e così via.

Quando iniziamo a porci domande diverse, otteniamo risposte diverse. Questo è stato ciò che il libro di Louise Hay ha fatto per me: mi ha fatto iniziare a pormi le domande giuste. Per esempio “Come posso essere autrice della mia vita invece che spettatrice? Come posso creare la mia felicità invece che aspettare che mi capiti addosso? Come posso far sì che i pensieri nella mia mente non guidino le mie azioni, soprattutto se sono pensieri negativi?”

Questo tipo di domande orientano alla soluzione. Obbligano la nostra mente a trovare un “come fare per”.

Possiamo fare questo solo quando accettiamo che i nostri pensieri creano la nostra vita, e che quindi dobbiamo indirizzarli dove vogliamo noi. Allora possiamo iniziare a porre attenzione ai pensieri, mentre prima ci identificavamo semplicemente con essi. Possiamo capire che non siamo i nostri pensieri, noi siamo creature che hanno pensieri, e possiamo semplicemente fare attenzione a questa differenza, notare che stiamo pensando pensieri negativi invece che fluire con essi.

Osservare i nostri pensieri ci permette di distanziarci da essi e nello stesso tempo di acquisire più consapevolezza di noi stessi e del nostro corpo nel momento presente. Quando siamo presenti a noi stessi, rilassati o in meditazione possiamo allora sostituire i pensieri distruttivi con pensieri creativi. Tutto qua. Questa è la chiave. Per quanto possa sembrare semplice questo processo richiede mesi e anni di pratica. Eppure, ogni viaggio inizia con un passo.

Gestire Un Blog In Inglese Se L’Inglese Non è la tua Lingua

Quando la lingua frena la tua creatività

Da un anno scrivo sul mio blog, translatorthoughts.com. L’ho creato pochi mesi dopo essermi trasferita in Inghilterra, e mi è sembrato ovvio crearlo in inglese. Avere un blog è faticoso. Ma siccome era il mio primo blog, pensavo che la fatica derivasse dall’avere un blog in sè, non tanto dal fatto che stessi scrivendo in inglese. Invece dopo un anno ho creato il mio secondo blog, stavolta in italiano, e ho notato la differenza. Avere un blog è difficile. Scrivere in una lingua che non è la tua lo rende ancora più difficile. Non posso spiegare il senso di leggerezza che ho provato quando ho scritto il mio primo articolo in italiano. Mi sentivo a casa. Sapevo se quello che avevo scritto era corretto o meno, se suonava fluente o meno. E ho percepito la differenza.better-writer-graphic

Non ho mai pensato a me stessa come straniera. Nel senso che per la mia visione del mondo siamo tutti stranieri e tutti a casa nostra allo stesso tempo. Eppure questa cosa di scrivere in una lingua diversa dalla mia lingua madre mi ha fatto sentire straniera. Per mesi mi ha fatto dubitare delle mie capacità, e ha fatto vacillare la mia autostima. Diverse volte mi è capitato di ricevere commenti che sottolineavano i miei errori, gente che mi diceva che il mio inglese non era buono. Per me, che sono stata cresciuta con l’idea di dover sempre essere brava a scuola, brava nei compiti e nello studio, è stato umiliante. Certo, in Italia il mio inglese è considerato molto buono, ma non in Inghilterra, non sul web inglese, dove il 90% di chi scrive è di madrelingua inglese. “Facile per te” mi viene da dire ai mille blogger statunitensi che scrivono di come fare soldi online. Per scrivere un articolo ci mettono 20 minuti, lo pubblicano ed è fatta. Fanno soldi vendendo infoprodotti o ebook che hanno scritto alla fermata dell’autobus, fanno podcasts e video con estrema facilità. Che invidia….

Per un anno ho pagato un proofreader che mi correggesse i miei articoli. Non tanto, una cosa tipo 5-6 sterline per un articolo di 1000 parole. Ma dopo 50 articoli…insomma, solo per dire che il mio blog mi è costato più di quanto mi abbia fatto guadagnare, almeno all’inizio. Le persone che fanno sembrare tutto facile sono ingenue o stanno mentendo. Avere un blog richiede lavoro e soldi. Avere un blog in una lingua che non è la tua è 10 volte più faticoso (e a volte costoso)

Stasera stavo cercando qualche spunto sull’argomento, e ho trovato questo articolo di Mauro D’Andrea sul suo blog www.blog-growth.com, che mi è piaciuto molto. Lui è italiano e scrive in inglese. Mi ha rincuorato e fatto sentire meno sola. Mi ha anche fatto venire in mente il meraviglioso blog di Edyta Zabieska, al quale sono iscritta da qualche mese. Non è italiana, ma vive in Italia e ha deciso di scrivere in italiano sul suo blog. Ricordo che a volte leggendo le sue mail ho notato qualche piccolo errore. Tuttavia, sapevo che dietro ogni mail c’era un lavoro doppio rispetto a quanto ci avrebbe dovuto mettere un italiano, e il piccolo errore non sminuiva la cura che si percepiva in ogni mail. Molti non riescono a capirlo, ma io lo so perchè mi trovo nella sua stessa situazione. Apprezzo di più le sue mail rispetto a quelle di altri marketer italiani che, pur scrivendo nella loro lingua madre, fanno un saaaacco di errori. Quando ricevo le loro email e mi rendo conto che non hanno neanche riletto quello che hanno scritto, il valore di un post scritto da una persona straniera in italiano corretto acquista ancora più valore.

Scrivere in inglese per me è ancora dura. Non riesco a modellare il testo e plasmarlo secondo la mia sensibilità. Normalmente amo scrivere in modo elaborato, ma in inglese non posso. Amo scrivere in modo metaforico e usando immagini, figure retoriche, dando spessore alla lingua. Scrivere per me è meraviglioso. Ma se scrivi in una lingua che non è la tua, non riesci a dirigerla dove vuoi. Quindi spesso ho la sensazione che i miei tesi inglesi non trasmettano niente.

Eppure, per chi come me lavora con il web, l’inglese è una scelta che ha anche molti vantaggi. Secondo Wikipedia in italia sono 35 milioni le persone che usano internet; se scrivi in inglese credo che tu possa raggiungere 2 o 3 miliardi di persone. Insomma, qualunque sia lo scopo del tuo blog, se scrivi in inglese hai accesso a un pubblico molto più vasto. Ciò vuol dire che se il tuo blog è una fonte di guadagno, puoi guadagnare di più scrivendo in inglese. Se il tuo blog non è monetizzato e scrivi per il semplice piacere di scrivere o pubblicare foto dei tuoi gatti, anche in quel caso se scrivi in inglese avrai un pubblico molto più ampio.

Detto ciò, avere un blog è fantastico e se vuoi scriverlo in inglese ci sono diversi modi per migliorare la lingua:

  1. leggere di più. Leggi libri in inglese, leggi altri blog in inglese, leggi il giornale o altri siti web. Quando leggi fai caso alla struttura oltre che al contenuto. Nota come è costruita la frase, nota la posizione di nomi, verbi e avverbi. Il problema che abbiamo più di frequente noi italiani è che usiamo la stessa struttura italiana per costruire le frasi inglesi. Non funziona.
  2. Vivi all’estero per un po’. In Inghilterra l’economia funziona molto meglio, ci sono molte più opportunità di lavoro, c’è un ambiente molto più stimolante, meno tasse e più vantaggi. Inoltre essere immersi in una lingua e ascoltarla quotidianamente aiuta tantissimo. Il mio consiglio? Parti ora.
  3. Parla con inglesi e copia. Come impariamo a parlare da bambini? Copiamo dagli adulti. Ecco, bisogna fare la stessa cosa, ascoltare e copiare, leggere e copiare. Imparare per imitazione è molto più efficace che imparare sui libri.
  4. Scrivere, scrivere di più, scrivere ancora, e ancora scrivere. Certo, non è il sogno di tutti. Deve piacere. Ma se ti piace scrivere nella tua lingua madre allora fai di tutto per trasmettere quel piacere anche ad altre lingue. Non può che aumentare.

Ci sarà sempre una sensazione di estraneità nello scrivere in una lingua che non ci appartiene. Ma possiamo possiamo prenderla come una sfida e imparare a superare questa sensazione. Superare i nostri limiti è una delle sfide più difficili della nostra vita, ma è anche quello che ci fa evolvere in persone migliori.

Vivere con arte

Metti arte in ogni cosa che fai

Ci sono tanti modi di fare le cose. Ci sono tanti modi di fare business. Ci sono tanti modi di vivere e di essere felici.

Il mio preferito è fare le cose che faccio con arte. Tutto, dalle grandi alle piccole cose. Andare in bici, cucinare, muoversi, fare business, creare un sito, parlare, amare.Flowers

Tutto può essere fatto con arte. E acquista immediatamente un altro valore, sia per gli altri che per noi mentre lo facciamo. Come si fa? Secondo me è molto semplice: basta mettere la nostra totale attenzione in ciò che facciamo. Anche la meditazione lo insegna: mettere la nostra totale attenzione in quello che facciamo ci fa essere più lucidi, più presenti a noi stessi, e tutto acquista una bellezza che prima non aveva. Non occorre stare seduti nella posizione del loto per ore. Basta mettere la nostra totale attenzione in qualsiasi cosa stiamo facendo.

Pensavo a questo oggi mentre andavo in bici. Si può andare in bici con noncuranza o con arte. Ed è diverso. Si prova un gusto diverso, perchè facendo le cose con arte assapori ogni momento e gli dai valore.

La stessa cosa vale per il business. Si può fare business con rabbia o artisticamente. Si può fare marketing con arroganza o con arte. Si può scrivere per obbligo o per arte.

Curare quello che facciamo lo fa apparire più bello. Gli dà dignità e valore. Lo fa diventare un modello, perchè chi fa le cose con arte non segue il vecchio, crea il nuovo.

Colline Emiliane

 

Vuoi leggere qualcosa sul vivere con arte? Inizia da qui:

L’arte di parlare in pubblico – Dale Carnegie

L’Arte di Essere Felici – Seneca

The art of innovation – Tom Kelley

The art of Manliness

Troppe Idee

Sindrome da troppe idee. C’è una cura?

Negli ultimi mesi sono stata assalita dalla sindrome delle troppe idee. Sarà il fatto di vivere in Inghilterra, dove tutto sembra così facile, sarà il fatto di avere un compagno che è un vulcano di idee, o sarà che quando apri la mente vedi opportunità che gli occhi non vedono, e le vedi ovunque.

Ogni giorno ho un’idea nuova. Un nuovo sito, un nuovo progetto, un nuovo startup. In Inghilterra aprire un’azienda richiede 5 minuti. Si fa online: si registra il nome, ci si registra all’ufficio delle tasse, e in poche ore hai la tua azienda autorizzata a fare business. Il primo anno quasi non si pagano tasse. Non si deve aprire partita IVA fino alle 75000 sterline di fatturato. Le idee possono diventare concrete in poche ore. Ecco da dove nasce la sindrome da troppe idee: dal fatto che questo paese ti rende facile assecondarle. Non è meraviglioso?

Idee, idee da tutte le parti. Benché sembri assurdo lamentarsi per le troppe idee (quasi come lamentarsi di avere troppi soldi) il rischio c’è ed è reale: farsi prendere dal vortice delle idee e non concentrarsi su nessuna.

Realizzare un progetto richiede anima e sangue. Riuscire a portare un progetto al successo è un’impresa ardua che richiede impegno e concentrazione. Non si può realizzare se la nostra mente si deve concentrare su 10 progetti diversi. Eppure a volte non se ne vorrebbe abbandonare nessuno, c’è quasi un moto d’affetto come se fossero amici nostri.

Nel mondo del business ci sono due modelli di aziende: quelle che fanno un prodotto e quelli che costruiscono un brand “ombrello” sotto il quale stanno tanti prodotti. Dropbox è un’azienda che fa una cosa sola, un solo software (ho trovato questo articolo che lo spiega bene). Virgin invece soffre secondo me della sindrome da troppe idee: musica, palestre, viaggi, banche, aerei…fanno un po’ di tutto. Il segreto è che Virgin è fatta di migliaia di persone, e ognuna si concentra su una cosa. Sarebbe impossibile se Richard Branson volesse fare tutto da solo. Ma questo è quello che facciamo noi (me inclusa) quando vogliamo portare avanti troppi progetti. E poi ci stupiamo che nessuno abbia successo e diciamo: erano cattive idee. No, spesso era poca concentrazione. O sindrome da troppe idee.

 

Della vita sulla bicicletta

La bici mi insegna

Bologna

Ho spesso questa tendenza a prendere oggetti della vita quotidiana, vedere come funzionano e trarne lezioni di vita. Una specie di mania compulsiva. Oggi tocca alla bici.

Mi piace tantissimo andare in bici.

Quando vivevo a Bologna, la mia città natale, era proprio fantastico girare per le strade del centro con la mia bici: andare ovunque, senza divieti, anche dove le macchine non possono andare. E poi Bologna dalla bici è ancora più bella.

 

Siviglia

Poi ho vissuto un annetto a Siviglia, una città dove le bici hanno priorità sulle macchine, hanno strade preferenziali e soprattutto, sono (semi) gratis, disponibili in punti di raccolta sparsi in tutta la città. Già, per chi non lo sapesse, Siviglia ha creato un fantastico sistema di bike sharing che funziona davvero.

La bellezza di girare in bici in una città dove c’è sempre il sole e non piove mai…inspiegabile. Pedalare lungo il fiume, nelle stradine del centro, nei parchi, è una fonte di gioia infinita.

Ma cosa ti dà la bici in più dell’andare a piedi o dell’andare in macchina?

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Questo: la bici ha la giusta andatura per godersi le cose.

Ma c’è un altra similitudine che mi affascina tra la vita e l’andare in bici. Quando vai in bici, usi lo sforzo dei tuoi muscoli in modo intelligente. La tua fatica non è buttata al vento, ma ottimizzata dalla catena e dai pedali.Come nella vita, se vai troppo lento ti annoi, se vai troppo veloce non godi delle cose belle intorno a te. Per questo la bici è per me la metafora della giusta andatura.

Quando cammini, la fatica che fai equivale alla distanza che percorri. Insomma, non ti viene regalato niente. Con la bici invece la stessa fatica ti permette di percorrere una distanza dieci volte maggiore. La bici mi insegna a trovare il modo di ottimizzare i miei sforzi. Mi insegna che per ottenere di più non occorre lavorare di più ma lavorare in modo più intelligente.

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